Estetica dei nuovi media

Costa & Nolan, 2007, pp. 182
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Sul confronto-relazione fra arte e new media avevamo incontrato per la prima volta il pensiero di Antonio Tursi nell’interessantissimo testo: Internet e il Barocco. L’opera d’arte nell’epoca della sua digitalizzazione. Oggi, seguendone ancora il percorso, ci viene proposta una riflessione sulla possibilità di parlare di estetica dei nuovi media quali nuovi veicoli di espressione artistica. L’Autore pone degli interrogativi pregnanti a monte di una indagine su specifici ambiti espressivi dell’evo contemporaneo ed inquadra il tutto rapportandosi all’insegnamento di maestri quali McLuhan, Gadamer, Benjamin, maestri della teoria della comunicazione.

È ormai un dato di fatto che la scienza sia, mi si consenta il termine, embedded con e nell’arte trasformandone l’essenza. La marea delle nuove tecnologie influendo su immagini, suoni, spazialità ha rimodellato l’intero dominio dell’estetico dando vita a nuove forme culturali e a nuovi modi di sensibilità. La storia del bello si dipana nella realtà virtuale che, al di là dell’informatica, affonda le radici nel pensiero fenomenologico ed ermeneutico di autori come Husserl, Heidegger, Gadamer: le cose sono come, quando e in rapporto a chi le usa e interagisce con esse.

È inutile negare la presenza tuttora sul campo di una nutrita schiera di pervicaci negatori di una possibile nuova ermeneutica del bello e dell’arte qual è propugnata nel contemporaneo contesto filosofico. A costoro può tornar utile la lettura del recente testo di Tursi: Estetica e nuovi media.

In questo libro, consistente in una raccolta di sette saggi, le argomentazioni dell’Autore si articolano lungo varie tematiche costituenti una reticolarità di cui i nodi principali sono, da un lato, la valutazione del rapporto instauratosi tra arte e tecnologia (I nuovi estetologi – Il contagio del bello quotidiano – L’ermeneutica e l’estetica dei nuovi media), dall’altro, il viaggio lungo nuove spazialità (Quale cibertempo per il ciberspazio? – Sull’arte digitale – Per un’estetica dell’ipertesto e del blog – Abitare con i new architects) in cui si considerano la net art e i progetti dei new architects per edifici la cui superficie “è una vera e propria pelle che svolge una funzione simile a quella che ricopre il nostro corpo: mettere in relazione esterno ed interno.”(p. 147)

A fronte di una tale eterogeneità di temi è possibile individuare la domanda madre dei vari sentieri di ricerca indicati dall’autore: qual è il ruolo dell’arte nel tempo della società della Rete?

L’estetica, fino alle soglie del XX secolo, è stata arte-centrica. A questo bisogna aggiungere che l’arte, ricoprente il ruolo centrale nell’estetica, è quella paradigmatica riconosciuta in opere quali, per esempio, le sculture di Michelangelo, i dipinti di Raffaello, le sinfonie di Beethoven, e così via. È chiaro che questa tradizione, allorché si pone a confronto il concetto di arte con lo scenario mediale, ha portato, da un lato, i cultori della “Estetica” a trincerarsi nella torre del ‘Bello’ mentre, dall’altro lato, i “nuovi estetologi” si interrogano sull’esistenza stessa dei concetti di “stile, bellezza, espressione” e al contempo, prendendo atto del dilagare del blob consumistico-comunicazionale nell’ambito di ciò che da sempre è stato etichettato come area delle “belle arti”, quasi presi da nostalgia cercano di turare la falla apertasi nella Categoria assoluta dell’arte.

La terza via che si confà ad una società informazionale è quella di una estetica non etichettata come una “filosofia delle arti” bensì, richiamando il testo di Mario Costa, Dimenticare l’arte, come una “filosofia delle pratiche tecnico-artistiche”; anzi, direi che sarebbe il caso di parlare tout court di estetica del quotidiano. L’estetica tradizionale tende ad essere orientata verso esperienze speciali e quindi lontano dalla vita come viene comunemente sperimentata. I cambiamenti avvenuti nel mondo dell’arte contemporanea hanno ampliato l’audience degli appassionati d’arte. È errato considerare le nuove esperienze mediatico-artistiche come qualcosa di non-convenzionale, infatti così facendo si perderebbe solo tempo ad elucubrare sulla non-artisticità di non-oggetti-artistici.

Parlare di estetica del quotidiano potrebbe contribuire al discorso dell’ecologicamente sostenibile. Per esempio, l’imparare ad apprezzare l’estetica della natura tramite le opere d’arte può provocare in noi cocenti disillusioni allorché ci rendiamo conto di come sia la realtà. È bene, quindi, rinunciare a scelte fatte solo in base al bello per il bello e valutare, invece, le conseguenze delle nostre preferenze estetiche. L’estetica delle pratiche tecnico-artistiche, degli eventi e degli avventi che danno l’impronta alla società informazionale può spingerci a considerare attentamente il contesto ed a non respingere le cose che la tirannica estetica ci costringe a valutare come un obbrobrio. In buona sostanza, dobbiamo, da un lato, contravvenire alla regola di non guardare la cornice che definisce la finestra attraverso cui si può guardare la realtà secondo la prospettiva di Leon Battista Alberti e, dall’altro, spingerci a guardare la cornice e l’atto di mediazione da essa racchiuso di modo che tramite la rimodulazione del punto di vista fisso in punto di vista mobile andiamo oltre il semplice punto di contatto tra il medium e ciò che vi è rappresentato divenendo, da semplici spettatori, partecipi della rappresentazione.

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